A Houellebecq è venuto voglia di scrivere un giallo. Più precisamente gli è venuto voglia a pagina 250 di un romanzo che col giallo non c'entrava niente, ma vabè.
La prima cosa a cui ho pensato, leggendolo, è: vuole smettere di scrivere, Houellebecq? Il protagonista, un pittore, non fa che smettere. Il romanzo si apre con lui che distrugge una tela, dopo aver interrotto una serie molto cool di foto alle carte geografiche. Più avanti decide di non riprendere in mano il pennello, mai più. Nel frattempo diventa ricco, non felice, ma, bada bene, nemmeno infelice.
Questo Houellebecq, molto diverso dai precedenti, non è più disperato: è annoiato, smaliziato, pessimista, clueless, come dicono gli inglesi - ma in sostanza sereno. A un certo punto Jed, il pittore, va a letto "con la mente completamente vuota"; m'immagino che Houellebecq lo faccia spesso, da qualche anno a questa parte.
Lo stesso Houellebecq, tra parentesi, è tra i personaggi del romanzo. Che è sbilanciato: parliamoci chiaro. E' sbilanciato, all'inizio scivola, verso la fine prende una strada un po' sassosa, poi scivola un'altra volta, ma è bello. Houellebecq è uno dei pochi, forse l'unico scrittore contemporaneo che valga la pena di leggere anche soltanto per la gratificazione estetica. La sua scelta delle parole è cos= gustosa che a volte tra una pagina e l'altra mi viene fame. Una considerazione: credo che Houellebecq, alla fin fine, le conosca pochissimo, le donne. Non so. C'è qualcosa che proprio non mi convince. I suoi personaggi femminili a volte sembrano burattini; strafighe robotiche col cervello di Houellebecq. Probabilmente perché è questo il suo ideale di donna, sé stesso con la fica.
E con quest'immagine carinissima nella mente gli diamo quattro palle. Voto: 4 / 5
Nessun commento:
Posta un commento