sabato 5 febbraio 2011

La polvere del Messico, Pino Cacucci

In quarta di copertina c'è scritto: "E' il romanzo di un viaggio attraverso un paese narrato dalla gente, da innumerevoli personaggi: bevitori incontrati in vivacissime bettole, autisti di squinternate corriere lanciate per migliaia di chilometri tra selve e deserti, meccanici filosofi, gommisti antropologi" eccetera.
Bugie bugie bugie.
Prima di tutto non è un romanzo, è una raccolta di articoletti. Seconda di poi non è narrato dalla gente, non è narrato proprio da nessuno, a volte. S'incastra per troppe pagine nello stile vuoto della guida turistica e fa fatica a uscirne. Dov'era Zapata nel 1905, dov'era nel 1906, ma che cazzo me ne frega, se lo voglio sapere me lo cerco su Google. Ogni tanto (e ogni volta è un piacere) spunta uno dei personaggi suddetti. Sono quelli i momenti belli del libro, ma sono pochi. Pino Cacucci sembra aver paura di mettere in mezzo sé stesso. Non racconta il suo Messico racconta, boh. Non lo so. A volte perde il filo.
Suona troppo spesso come una guida turistica alternativa. Come una guida turistica "non per turisti" che è una roba che di sicuro non può funzionare.
Troppi aneddoti, poca sostanza.
Non l'ho finito.

Voto: 3 / 5

Meridiano di sangue, Cormac McCarthy

McCarthy cerca il vero con una tenaca e dovozione incredibili, è devoto e umile di fronte al vero come pochi altri, tanto che finisce perfino per sacrificare al vero stile e trama. Se uno dei suoi personaggi guarda una sedia, e poi sputa, e poi riguarda quella sedia, McCarthy scrive: "Guardò la sedia, poi sputò, poi guardò di nuovo la sedia", senza stare a curarsi delle ripetizioni, dei "poi" né di nient'altro. E' quello che è successo, e lui si limita a riportarlo.
Il suo è il ritmo della verità, è il tempo vero, gli avvenimenti si susseguono uno dopo l'altro in un flusso reale; non c'è n'è uno più importante dell'altro, perché il tempo non si sofferma su niente. Lo scoppiettare di un fuoco, un bivacco, bambini massacrati. Tutto equivalente.
E' dura leggere McCarthy e ancora più dura è uscirne.
Questo libro è sicuramente meno accessibile di Non è un paese per vecchi o La strada (da vecchio si è un po' ammorbidito, ha ceduto qualcosa), ma è sicuramente più imponente. E' una testimonianza solida e pesante, che resisterà al tempo perché del tempo stesso è fatta.

Voto: 5 / 5

Idrogeno e idiozia, Harlan Ellison

Harlan Ellison è uno stronzo, più precisamente uno stronzo americano, il tipo peggiore. Lo si capisce dai racconti e dalle (inutili) introduzioni agli stessi che usa solo per darsi delle arie.
Parla delle donne come lo stronzo che è: da stronzo. In uno dei racconti - uno dei migliori, per altro, e dico migliore e non bello perché gli americani guardano a questo, alla qualità, non alla bellezza, come se si parlasse di manzi piuttosto che di libri - dicevo, in uno dei racconti il protagonista reincontra tutte le donne della sua vita a ritroso, l'ultima, la penultima e così via, fino alla terribile ex finita in manicomio, ed è un racconto horror.
Ma vai a cacare, sbruffone.
Il racconto, però, è bello (anzi, buono, come dicono loro) non c'è niente da fare.
Sono belli anche quasi tutti gli altri, soprattutto il primo, Jeffty ha cinque anni, uno dei migliori che abbia mai letto. Ce ne sono anche di insignificanti ma di sicuro Harlan Ellison non lo sa.
E' uno di quegli scrittori americani che si siede e scrive come un carro armato, senza fermarsi, babam babam babam, che si fa "venire le emorroidi a forza di scrivere", come dice lui. E' uno Stephen King, per intendersi. Più introspettivo di Stephen King, leggermente più tormentato di Stephen King, sicuramente più presuntuoso di Stephen King e probabilmente di chiunque altro al mondo.
E' un visionario, non si pone limiti e a volte (a volte) fa perfino qualche capatina nell'arte vera. Meno di quanto lui creda. Sia chiaro.
E' un bel libro.
Che fa incazzare.
Bello.

Voto: 4 / 5